Ho incontrato nella mia carriera, scolastica e non, una marea di persone in gamba, tra queste ne ho trovato alcune che, pur avendo una preparazione di tutto rispetto, mi hanno insegnato almeno due cose: odiare quello che insegnavano e non essere come loro!
L’essere colti e preparati non fa dei bravi insegnanti. La cultura è una cosa, l’insegnamento un’altra.
Ogni processo di apprendimento è anche un’impresa emotiva in cui devono essere messi in conto emozioni, caos, confusione legati all’incontro con l’ignoto, rappresentato da ciò che non si sa ancora. E ogni insegnante non può non tenere a mente che l’apprendimento non è un processo automatico senza anima e comprensione.
In primis, l’apprendimento non è mai certo ma è una possibilità: io posso apprendere e, in più, l’apprendimento avviene sempre in seno a una relazione emotiva con noi stessi e con l’altro.
Per quanto lo si voglia ignorare, le emozioni e i sentimenti svolgono una funzione importantissima nel processo di insegnamento e apprendimento.
Curiosità, entusiasmo, piacere, confusione, inadeguatezza e rabbia, frettolosa e universale onnipotenza, alimentano il processo e lo rendono possibile, e sono certa che abbiano alimentato i processi di apprendimento di tutti, piccoli e grandi geni inclusi.
Accade spesso tra coloro che stanno dietro la cattedra di trascurare o deridere quest aspetto emotivo castrando le ansie altrui per demolire le proprie, la risultante è un sapere inaccessibile.
Possiamo insegnare solo se abbiamo capito che esiste un’area di dubbio, le nostre emozioni, l’unico canale che ci avvicina e accomuna con l’altro, e proprio da lì passa il sapere.
E.S.